Come la matematica insegna, cambiando l’ordine degli addendi
il risultato non cambia: Matteo Renzi se ne sta drammaticamente rendendo conto,
mentre guarda i sondaggi riservati sulle prossime elezioni politiche. Stampelle
a sinistra, appoggi a destra, rinforzi al centro: comunque la giri, ad oggi, il
ballottaggio dell'Italicum lo perde il Pd e lo vincono i Cinque Stelle. Le
rilevazioni sono precedenti all'attentato di Bruxelles e non tengono conto,
quindi, dell'allarme terrorismo che, potenzialmente, potrà ammorbidire le
posizioni degli italiani nei confronti del governo in carica. Ma il trend
negativo è ormai acquisito, tanto che già due settimane fa i dati di Ixè
annunciavano il sorpasso dei grillini sui democratici, se la sfida dovesse
diventare un faccia a faccia tra Matteo Renzi e (con ogni probabilità) Luigi Di
Maio. Così a Palazzo Chigi si sono messi a ragionare sulla strategia per
recuperare il terreno perso. E l'unico su cui il premier può sfidare i Cinque
Stelle è la capacità di governare.
La campagna va avanti da tempo ormai, riassunta nell'hashtag
#classedirigentemaddeche. Ma ora c'è bisogno di un salto da Twitter alla
realtà: non bastano più i piccoli Comuni, i paesini, i passi falsi a Parma e
Livorno. I Cinque Stelle vanno messi alla prova sul serio e in una città
ingarbugliata come Roma: solo così, alle prossime elezioni, si potrà plasticamente
dimostrare l'incapacità (questa è la tesi) degli eredi di Grillo e Casaleggio.
Qualche settimana fa la senatrice M5S Paola Taverna aveva evocato nientemeno
che il “complotto” per far vincere il Movimento. Ora è negli ambienti del Pd
che si cominciano a collezionare gli indizi. Il primo, dicevamo, sono i
sondaggi sull'Italicum, quelli che hanno fatto scattare l'allarme a palazzo
Chigi. Poi c'è la campagna elettorale di Roberto Giachetti. Oggi pomeriggio
all'ex Dogana, prossima sede del suo comitato elettorale, riunisce gli eletti
democratici romani. Le aspettative sono alte perchè, lamentano, finora nessuno
si è fatto sentire. Roberto Morassut due giorni fa ha detto al Corriere della
Sera che Giachetti non si è più fatto sentire praticamente dalla fine delle
primarie: “Ci ho parlato una sola volta”, ammette lo sconfitto. Non era proprio
quello che immaginava quando, la sera dei gazebo, è corso ai festeggiamenti in
onore del vincitore. Qui non è tanto questione di malumori interni al Pd: è che
quel mondo legato a Morassut - l’antirenziano dei due - doveva servire, nelle
intenzioni iniziali, a convogliare su Giachetti anche un pezzo di sinistra,
quella meno convinta della candidatura alternativa di Stefano Fassina. Per
giorni si è cercato di convincere Massimo Bray a farsi avanti, poi, dopo il suo
no, ci si era buttati su una sorta di “lista arancione” che affiancasse Giachetti
nella campagna elettorale.
Invece anche questa idea sembra tramontata e tutta la
sinistra sembra pronta a sostenere Fassina: che senso avrebbe, per Sel e
affini, dividersi e rischiare la faccia per un Pd che è “fermo sulle gambe”
(copyright Morassut) e sembra avere come massima ambizione quella di arrivare
al ballottaggio? Anche lì, infatti i sondaggi disegnano lo stesso quadro: vince
Virginia Raggi, la Cinque Stelle. Ieri il quotidiano laburista britannico Guardian
ha sostenuto che l'elezione della grillina “sarebbe una sconfitta umiliante per
il partito democratico del premier Matteo Renzi”. Solo che non sanno che la
partita per lui si gioca nel secondo tempo. Il primo, il premier, immagina di
passarlo alla stessa maniera di Francesco Storace: “Un'aula Giulio Cesare con
29 consiglieri grillini - ha detto - sarebbe meglio che andare al cinema”.
Paola Zanca – Il Fatto Quotidiano – 24 marzo 2016 – pag. 10
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