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venerdì 18 marzo 2016

#AcquaNonSiVende - Leggi e nomine: ecco come si smonta un referendum

Norme che aggirano o contraddicono il voto, funzionari nei posti chiave che provengono dal settore privato: se lo fai notare, però, Renzi & C. s’arrabbiano
Ieri Matteo Renzi ha ritwittato un articolo per l’Unità di uno dei suoi consulenti economici, Luigi Marattin. Titolo: “La bufala del referendum tradito”. La cosa, al netto di certe spiacevoli semplificazioni delle posizioni che intende criticare, ha un suo elemento ironico: Marattin era contrario ai referendum nel 2011, quand’era assessore a Ferrara, e scriveva cose tipo “Il grande bluff dei referendum sull’acqua”, oggi ce ne spiega la corretta interpretazione cambiando un po’ le parole. Su Repubblica, invece, Stefano Rodotà - giurista che quei quesiti contribuì a scrivere - dedicava un pezzo proprio al “referendum tradito”, cioè alla bufala di Marattin e Renzi: oggi, scrive, “si cerca di cancellare quel risultato importantissimo, approvando norme che sostanzialmente consegnano ai privati la gestione dei servizi idrici”.
In realtà, l’opera di demolizione di quei referendum è iniziata un minuto dopo la scoperta che li avevano appoggiati 26 milioni di italiani. Breve riepilogo: con il sì a due quesiti furono abrogati 1) il decreto che imponeva la messa a gara dei servizi pubblici locali (acqua compresa) e metteva molti paletti alla gestione pubblica; 2) la voce della bolletta dell’acqua che prevedeva “adeguata remunerazione del capitale investito dai gestori”. Il combinato disposto di quei due “sì” e l’impostazione stessa dell’iniziativa referendaria erano chiare: il servizio idrico va sottratto al mercato. La politica doveva solo prendere atto, eppure quella volta come altre non lo ha fatto: al referendum contro il finanziamento pubblico dei partiti, ad esempio, si reagì inventando il rimborso pubblico ai partiti. Ecco, allora, come è stato smontato il referendum sull’acqua. Erano passati due mesi dal voto quando il governo Berlusconi approvò un decreto (agosto 2011) che riproponeva la stessa legge abrogata: la Corte costituzionale lo ha cancellato l’anno successivo. A dicembre il governo Monti, nel cosiddetto “Salva Italia”, fece una cosa meno rumorosa ma più efficace: sciolse la Commissione di vigilanza sui servizi idrici (Coviri) di Palazzo Chigi e passò le competenze all’Autorità per l’energia. Spiega Roberto Passino, ultimo presidente del Coviri: “Il passaggio fu rapidissimo e assecondò tutte le richieste dei gestori. L’Autorità non aveva le competenze e infatti pescò tra le risorse di Federutility (le imprese del settore, ndr). Una roba da Paese delle banane”. L’Authority ribatte che “le competenze vanno cercate dove si trovano”. È il caso di Lorenzo Bardelli, capo della Direzione servizi idrici: ci arriva nell’ottobre 2012, fino a un mese prima era capo dell’area giuridica e legislativa di Federutility. Questo andazzo, peraltro, è generale: la responsabile “acqua” del ministero dell’Ambiente, Gaia Checcucci, nominata a novembre, arriva direttamente dal privato e risulta ancora nel cda di Intesa Aretina Scarl, società di Suez e Acea (la nomina sembra proprio violare un dlgs del 2013). Cos’è successo dal 2011? Ce lo spiega ancora Passino, peraltro non un pasdaran della gestione pubblica dell’acqua: “Noi stavamo mettendo in piedi un database con cui fotografavamo i gestori, che erano ostili: l’Autorità non l’ha mai preso in considerazione. Eppure senza comparazione come si incentiva l’efficienza? I nuovi sistemi tariffari lo fanno molto poco e invece concedono norme finanziarie favorevoli ai gestori, come la remunerazione di tutti gli investimenti pubblici pregressi. Una cosa scandalosa. Così il pubblico paga due volte: con le tariffe e pagando investimenti fatti con fondi statali. È incomprensibile”. Risultato: si dice che abbiamo le tariffe idriche più basse d’Europa, ma in questi anni stiamo rapidamente colmando lo svantaggio per raggiungere quelle di gas ed energia, che sono le più alte.
Infine ci sono le scelte legislative che aggirano quanto deciso dai cittadini. Per restare a quelle del governo Renzi se ne contano almeno quattro. Lo “Sblocca Italia” del 2014, ad esempio, indica l’obiettivo dell’esecutivo nella concentrazione dei servizi pubblici locali nelle mani di poche grandi multi-utility e stimola le concentrazioni prevedendo che “gestore unico” (obbligatorio per ogni ambito territoriale) divenga chi ha già in mano il servizio “per almeno il 25% della popolazione” (ridono A2A, Iren, Hera, Acea, etc). La legge di Stabilità, poi, incentiva i Comuni a privatizzare i servizi pubblici a rete (acqua inclusa) attraverso sconti sul Patto di Stabilità interno. Un decreto attuativo della riforma Madia della P.A. prevede persino che le tariffe tengano conto della “adeguatezza della remunerazione del capitale investito, coerente con le prevalenti condizioni di mercato”. Proprio ciò che fu abrogato da 26 milioni di voti. Infine, c’è il voto della Camera che martedì - con parere favorevole del governo - ha svuotato la legge scritta dall’intergruppo parlamentare sull’acqua pubblica: ne facevano parte anche molti parlamentari Pd. Così si smonta un referendum: con pazienza, pelo sullo stomaco e Twitter.
Marco Palombi - Il Fatto Quotidiano, 18 marzo 2016 – pag. 7

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