La cifra che il PD deve restituire al Comune per una singola sede |
Dopo le polemiche sulle sanzioni ai dissidenti, i dem parlano
di “purghe” e mettono in agenda una nuova legge sui partiti. I grillini: “È
contro di noi”
E ora è guerra sulle regole. Uno scontro all’ultima norma,
con il Pd che vuole una legge sui partiti (anche) per snaturare l’avversario,
per costringerlo a dotarsi di uno statuto, di regole democratiche. Per
condannarlo insomma a diventare un partito come gli altri, pena l’impossibilità
di correre alle elezioni. E il M5S che invece rivendica la propria diversità,
brandisce la penale per i fuori linea come “un orgoglio”, come dice, anzi urla,
Alessandro Di Battista. Per poi ribadire la maledizione: “Il Pd è il partito
degli arrestati, ogni giorno gliene prendono qualcuno: ma noi gli infiltrati li
cacciamo”.
Le comunali sono già la battaglia di oggi, e allora dem e
5Stelle si azzannano alla gola, si accusano a vicenda di essere “fascisti”.
Dopo l’epopea di Quarto, il Comune dove il M5s ha perso un po’ d’innocenza e
molta sicurezza, ora la miccia del fuoco dem è la penale voluta dai 5Stelle per
i propri candidati a Roma, sanzione da 150mila euro per chi non applicherà il
totem del programma o non concorderà la rotta con il M5s e i suoi vertici. “I
traditori li lasciamo al Pd” riassume la deputata Roberta Lombardi. Però eccoli
i dem, che rimettono in campo i polemisti da web. Con il senatore Stefano
Esposito che sibila: “Dopo la multa mancano solo olio di ricino e manganello”.
Ed è l’equazione che tutto il Pd scaglia contro il nemico: i 5Stelle come i
fascisti. Ma la carta vera, ferma da un anno per essere calata nel momento
giusto, è un’altra, e si chiama legge sui partiti. A gettarla sul tavolo è
Lorenzo Guerini, il vicesegretario del Pd: “Le sanzioni pecuniarie per chi
dissente, oltre a sfiorare il ridicolo, confermano l’ineludibile esigenza di
procedere senza indugi a discutere e approvare una nuova legge sui partiti in
attuazione dell’articolo 49 della Costituzione”. Quella norma mai veramente
applicata secondo i costituzionalisti, che recita: “Tutti i cittadini hanno
diritto di associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo
democratico a determinare la politica nazionale”. La ricetta dem per applicarla
sta in un disegno di legge presentato nel maggio 2015, con primi firmatari
Guerini e Matteo Orfini. Un testo che per il M5s è kriptonite, perché prevede
per i partiti l’obbligo di uno statuto e dell’acquisizione della personalità
giuridica, tramite l’iscrizione a un apposito registro. Senza, non potranno
presentare liste alle Politiche. Ma non basta, perché il ddl vuole anche regole
di democrazia e trasparenza interna, sotto la vigilanza di un’apposita
commissione di garanzia. Ora giace in commissione Affari costituzionali,
assieme a testi simili, ma il capogruppo dem Ettore Rosato la vorrebbe in aula a
marzo. E intanto insiste: “Non si può gestire un partito come una società di
capitali privata”. È un siluro, di cui i 5Stelle avevano visto la scia già
giorni fa, con l’emendamento al decreto milleproroghe dei democratici
Boccadutri e Carbone. Poche sillabe in base a cui i partiti che non
presenteranno i bilanci a un’apposita commissione subiranno una multa di
200mila euro. “Noi non li presentiamo perché è l’unico modo di rinunciare al
finanziamento pubblico, vogliono obbligarci a iscriverci al registro dei
partiti” aveva protestato il 5Stelle Danilo Toninelli. Facile profeta: “La vera
partita è la legge sui partiti”. Ieri, l’affondo dem. E la risposta del 5Stelle
Riccardo Fraccaro: “Ecco la legge anti-M5S: il Pd vuole imporre la forma
partitocratica, è il fascismo renziano”. Nel pomeriggio, i deputati romani
convocano la stampa alla Camera. Ed è Di Battista che fa il leader, che giura
alla calca dei giornalisti: “Noi andiamo fieri di questo codice di
comportamento, il M5s per Roma porterà avanti una politica di pugno duro. E
così applichiamo una sanzione a chi vuole fare il voltagabbana”. Poi infierisce
sul Parlamento che “è un postribolo della dignità”. Quella multa è cosa buona e
giusta, è il segno che “siamo un’altra cosa da chi porta i cinesi alle primarie”.
Ma l’articolo 67 della Carta, che non prevede vincolo di
mandato per i parlamentari? “Non ci riconosciamo in quella norma, per noi il
vincolo di mandato è il programma” scandisce Paola Taverna. I 5Stelle tirano
fuori un finto assegnone di 170mila euro, con il volto di Orfini. “Sono i soldi
che una singola sede del Pd di Roma deve restituire al Comune”. Un commesso
accorre, i giornalisti annotano, i fotografi scattano. E sono foto di guerra.
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