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DI BATTISTA - 11.05.2016 OTTOEMEZZO

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mercoledì 10 febbraio 2016

Trasparenza, “fascismo” e multe contro i traditori: Pd-M5S, guerra sulle regole

La cifra che il PD deve restituire al Comune
per una singola sede
Dopo le polemiche sulle sanzioni ai dissidenti, i dem parlano di “purghe” e mettono in agenda una nuova legge sui partiti. I grillini: “È contro di noi” 
E ora è guerra sulle regole. Uno scontro all’ultima norma, con il Pd che vuole una legge sui partiti (anche) per snaturare l’avversario, per costringerlo a dotarsi di uno statuto, di regole democratiche. Per condannarlo insomma a diventare un partito come gli altri, pena l’impossibilità di correre alle elezioni. E il M5S che invece rivendica la propria diversità, brandisce la penale per i fuori linea come “un orgoglio”, come dice, anzi urla, Alessandro Di Battista. Per poi ribadire la maledizione: “Il Pd è il partito degli arrestati, ogni giorno gliene prendono qualcuno: ma noi gli infiltrati li cacciamo”.
Le comunali sono già la battaglia di oggi, e allora dem e 5Stelle si azzannano alla gola, si accusano a vicenda di essere “fascisti”. Dopo l’epopea di Quarto, il Comune dove il M5s ha perso un po’ d’innocenza e molta sicurezza, ora la miccia del fuoco dem è la penale voluta dai 5Stelle per i propri candidati a Roma, sanzione da 150mila euro per chi non applicherà il totem del programma o non concorderà la rotta con il M5s e i suoi vertici. “I traditori li lasciamo al Pd” riassume la deputata Roberta Lombardi. Però eccoli i dem, che rimettono in campo i polemisti da web. Con il senatore Stefano Esposito che sibila: “Dopo la multa mancano solo olio di ricino e manganello”. Ed è l’equazione che tutto il Pd scaglia contro il nemico: i 5Stelle come i fascisti. Ma la carta vera, ferma da un anno per essere calata nel momento giusto, è un’altra, e si chiama legge sui partiti. A gettarla sul tavolo è Lorenzo Guerini, il vicesegretario del Pd: “Le sanzioni pecuniarie per chi dissente, oltre a sfiorare il ridicolo, confermano l’ineludibile esigenza di procedere senza indugi a discutere e approvare una nuova legge sui partiti in attuazione dell’articolo 49 della Costituzione”. Quella norma mai veramente applicata secondo i costituzionalisti, che recita: “Tutti i cittadini hanno diritto di associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale”. La ricetta dem per applicarla sta in un disegno di legge presentato nel maggio 2015, con primi firmatari Guerini e Matteo Orfini. Un testo che per il M5s è kriptonite, perché prevede per i partiti l’obbligo di uno statuto e dell’acquisizione della personalità giuridica, tramite l’iscrizione a un apposito registro. Senza, non potranno presentare liste alle Politiche. Ma non basta, perché il ddl vuole anche regole di democrazia e trasparenza interna, sotto la vigilanza di un’apposita commissione di garanzia. Ora giace in commissione Affari costituzionali, assieme a testi simili, ma il capogruppo dem Ettore Rosato la vorrebbe in aula a marzo. E intanto insiste: “Non si può gestire un partito come una società di capitali privata”. È un siluro, di cui i 5Stelle avevano visto la scia già giorni fa, con l’emendamento al decreto milleproroghe dei democratici Boccadutri e Carbone. Poche sillabe in base a cui i partiti che non presenteranno i bilanci a un’apposita commissione subiranno una multa di 200mila euro. “Noi non li presentiamo perché è l’unico modo di rinunciare al finanziamento pubblico, vogliono obbligarci a iscriverci al registro dei partiti” aveva protestato il 5Stelle Danilo Toninelli. Facile profeta: “La vera partita è la legge sui partiti”. Ieri, l’affondo dem. E la risposta del 5Stelle Riccardo Fraccaro: “Ecco la legge anti-M5S: il Pd vuole imporre la forma partitocratica, è il fascismo renziano”. Nel pomeriggio, i deputati romani convocano la stampa alla Camera. Ed è Di Battista che fa il leader, che giura alla calca dei giornalisti: “Noi andiamo fieri di questo codice di comportamento, il M5s per Roma porterà avanti una politica di pugno duro. E così applichiamo una sanzione a chi vuole fare il voltagabbana”. Poi infierisce sul Parlamento che “è un postribolo della dignità”. Quella multa è cosa buona e giusta, è il segno che “siamo un’altra cosa da chi porta i cinesi alle primarie”.
Ma l’articolo 67 della Carta, che non prevede vincolo di mandato per i parlamentari? “Non ci riconosciamo in quella norma, per noi il vincolo di mandato è il programma” scandisce Paola Taverna. I 5Stelle tirano fuori un finto assegnone di 170mila euro, con il volto di Orfini. “Sono i soldi che una singola sede del Pd di Roma deve restituire al Comune”. Un commesso accorre, i giornalisti annotano, i fotografi scattano. E sono foto di guerra.

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