L'Aula del Senato della Repubblica |
I consigli regionali alle prese con il ddl, tra buchi e
norme da interpretare
Facile parlare di nuovo Senato. Naturale pensare subito e
solo a ottobre, quando sarà referendum sulla riforma, quello che Matteo Renzi
ha già trasformato in un’ordalia, in un voto pro o contro il suo governo. Poi
però quando le fanfare tacciono e le telecamere puntano altrove, emergono i
problemi da risolvere, e anche in fretta. Spuntano le rogne, tutte per Regioni
ed enti locali. Già, perché la riforma che prevede un Senato composto da 74
consiglieri regionali, 21 sindaci e 5 personalità indicate dal presidente della
Repubblica non è un pacchetto già pronto.
Va ancora definito un passaggio fondamentale: come verranno
scelti i senatori prossimi venturi. Tradotto, le Regioni devono mettersi d’accordo
su come interpretare l’articolo 39 del ddl, la norma transitoria, secondo cui i
Consigli regionali scelgono i senatori votando liste apposite, in ordine di
preferenze. Ma sarà solo una soluzione provvisoria. Entro sei mesi dall’approvazione
della riforma, il Parlamento dovrà varare una legge che regolerà in via
definitiva l’elezione degli inquilini di palazzo Madama, e che di fatto affiderà
la scelta ai cittadini. Ma sulle modalità gli enti locali hanno molto da dire.
E lavorano a una propria proposta, nella speranza che a Roma ne tengano conto.
Suona complicato, e infatti lo è. “C’è tanto lavoro da fare” conferma Franco
Iacop (Pd), presidente del Consiglio regionale del Friuli Venezia Giulia, ma
soprattutto coordinatore della Conferenza dei presidenti delle assemblee
regionali e delle Province autonome. Un paio di settimane fa la Conferenza ha
avviato a Roma un tavolo tecnico sulla riforma. “Per applicare la norma
transitoria dovremo modificare con regole uguali i regolamenti dei venti
Consigli regionali”. Lavoro delicatissimo, perché gran parte dei senatori in
prima battuta verrà eletto proprio con le norme provvisorie. Lo raccontano le date:
la riforma, se vinceranno i sì nel referendum, entrerà in vigore in autunno. Ma
la legislatura, se Renzi regge (o non cede alla tentazione delle urne
anticipate), finirà nella primavera 2018. E sarà allora che ogni Consiglio
regionale indicherà i propri eletti nel nuovo Senato, scegliendoli al proprio
interno, come prevede la transitoria. Perché invece si applichi la legge che
delega la scelta ai cittadini, bisognerà attendere il rinnovo dei vari Consigli
regionali. Nell’attesa, gli enti locali devono darsi dei paletti. Iacop spiega:
“La norma transitoria prevede che ogni consigliere regionale voti una sola
lista di candidati, formata da consiglieri e sindaci dei rispettivi territori.
Ma ci sono tanti aspetti che l’articolo 39 non chiarisce. Innanzitutto, se ci
debba essere un collegamento diretto tra le liste regionali e quelle per il
Senato. Oppure le incompatibilità tra elezione in Senato e incarichi. E poi,
come si concilia la scelta degli eletti a palazzo Madama con l’obbligo di
parità di genere, previsto in tante leggi elettorali regionali?”. Sono solo
alcuni dei nodi da sciogliere. E poi c’è la legge definitiva, quella che il
Parlamento dovrà sfornare entro sei mesi dal varo della riforma (ossia entro
aprile 2017, se Renzi vincerà il referendum).
La cornice c’è già, ed è prevista dall’articolo 2 della
riforma, secondo cui i Consigli regionali eleggeranno i senatori “in conformità
alle scelte espresse dagli elettori”, con “metodo proporzionale”. Tradotto, con
la legge definitiva gli enti locali dovranno solo ratificare le scelte dei
cittadini. Ma anche in questo caso, va chiarito il come. Per esempio, se gli
elettori dovranno votare i senatori su liste separate, oppure su una stessa
lista per Regione e Senato. O se i partiti potranno formare coalizioni per far
eleggere il proprio senatore. E poi c’è un ulteriore enigma, che vale sia per
la norma transitoria che per quella definitiva: quali sindaci mandare a Palazzo
Madama. “Ci serve un confronto con il Parlamento e con i ministeri competenti,
da quello delle Riforme a quello per gli Affari regionali, dobbiamo lavorare
assieme” precisa Iacop. O forse invoca.
Luca De Carolis - Il Fatto Quotidiano – 28/2/2016 – pag. 6
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