“È venuto meno agli obblighi assunti con l'accettazione
della candidatura - si legge in un comunicato del gruppo regionale del
Movimento - e si è dimostrato totalmente fuori asse rispetto ai principi di
comportamento degli eletti nel Movimento 5 Stelle". Lui aveva già spiegato
di non avere intenzione di dimettersi. “Io rimango al servizio dei cittadini
che mi hanno eletto. Se ho sentito i big nazionali? Assolutamente no"
L’espulsione era
nell’aria da giorni, ma per formalizzarla c’è voluto un comunicato del gruppo
regionale del Movimento
5 Stelle. Una ventina di righe per spiegare che il sindaco di Gela
Domenico Messinese non
fa più parte del Movimento di Beppe Grillo. “È venuto meno agli obblighi assunti
con l’accettazione della candidatura e si è dimostrato totalmente fuori asse
rispetto ai principi di comportamento degli eletti nel Movimento 5 Stelle e
anche alle politiche ambientali energetiche e occupazionali più accreditate in
ambito europeo. Pertanto si pone fuori dal Movimento, di cui, da oggi, non fa
più parte”, scrivono i grillini nella nota che ammaina la bandiera
pentastellata sul comune di Gela. Da settimane nella città in provincia di Caltanissetta va in
onda una feroce guerra intestina tutta interna ai 5 Stelle.
Da una parte c’era Messinese, con il fido vicesindaco Simone Siciliano,
dall’altra i consiglieri comunali e gli assessori indicati dalla base: una
spaccatura che aveva portato alla creazione di due diversi meetup.
Probabilmente il prologo dello scontro è da ricercare nell’ormai celebre istantanea
scattata addirittura prima del ballottaggio: ritraeva Messinese in compagnia di Lucio Greco,
candidato di una lista vicina ad Angelino Alfano, nell’ottobre scorso nominato
legale del comune per un paio di cause pagate con 11 mila euro. Una leggerezza
che era costata al sindaco l’accusa di clientelismo.
Il
punto più alto dello scontro però è arrivato quattro giorni fa, quando
Messinese ha deciso di silurare dalla sua giunta tre assessori in un colpo
solo: si tratta di Pietro Lorefice, Ketty Damante e Nuccio Di Paola, rispettivamente responsabili
dei trasporti, dell’istruzione e della programmazione. Sono tutti militanti
storici, indicati direttamente dalla base ed è per questo motivo che 24 ore
dopo i consiglieri comunali grillini avevano sfiduciato pubblicamente
Messinese, chiedendo che gli fosse inibito l’uso del simbolo. Una richiesta
avallata dai dirigenti regionali pentastellati, che adesso spiegano di aver
espulso Messinese perché “non ha provveduto al taglio del proprio stipendio”.
La defenestrazione al sindaco è da ricollegare anche ai rapporti con l’Eni, che
da oltre mezzo secolo gestisce il petrolchimico di Gela.
“Messinese
– continua la nota – ha avallato il protocollo di intesa tra Eni, Ministero
dello Sviluppo economico e Regione Siciliana. Un accordo che il gruppo
parlamentare all’Ars del M5S ha osteggiato con tutte le sue forze non solo
perché in aperto contrasto con i sui principi, ma anche perché contrario alle
più accreditate politiche di tutela ambientale, energetiche, occupazionali e di
economia turistica”. Come dire che, a più di 50 anni dalla costruzione dal
petrolchimico, l’azienda del cane a sei zampe gioca ancora un ruolo
fondamentale nelle dinamiche politiche gelesi: anche quando sono targate 5
Stelle.
Messinese
aveva già spiegato di non avere intenzione di dimettersi. “Io rimango al
servizio dei cittadini che mi hanno eletto. Se ho sentito i big nazionali?
Assolutamente no. Casaleggio avrebbe dovuto rispondere quando gli sottoponevo i
problemi del territorio e invece non l’ha fatto: questa è una città dove si
muore di tumore, dove il lavoro non esiste più. Noto invece che è più
importante discutere di simboli”.
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