Antonio Azzollini è salvo. Più della metà dei senatori
del Pd, dopo il via libera del capogruppo Luigi Zanda, ha votato secondo
coscienza. Molti di loro però una coscienza non l’hanno mai avuta. Altri invece
se la sono venduta nel frattempo. Così dal Senato della Repubblica arriva un
messaggio chiaro: Azzollini è un perseguitato da tutta la magistratura.
Non solo dai Pm o dal gip di Trani. Ce l’hanno con lui pure i giudici del
tribunale del riesame di Bari che il 2 luglio hanno confermato l’ordinanza di
custodia cautelare nei suoi confronti.
Ovviamente la verità è un’altra. Il fumus
persecutionis non c’è. Ma Azzollini è un potente esponente del Ncd, partito
indispensabile alla sopravvivenza della maggioranza. E soprattutto ha
presieduto per dodici anni la commissione Bilancio del Senato, un
organismo che filtra le leggi spesa e che da sempre è il luogo in cui avvengono
scambi di ogni tipo. Se i parlamentari vogliono finanziare una strada, un’opera
pubblica, un ente del proprio collegio elettorale o in in qualche modo utile ai
propri accoliti, devono passare da lì.
Questa è l’origine del suo potere. E in questo
modo si spiega pure la sua arroganza. Emersa nell’inchiesta sul porto di Molfetta (uno maxi-truffa
da 170 milioni di euro, per cui il Senato ha già negato l’utilizzo delle
intercettazioni telefoniche) durante la quale più testimoni hanno parlato di
presunte pressioni e minacce rivolte da Azzolini a funzionari pubblici per
spingerli a non collaborare con gli investigatori. E diventata di dominio pubblico
quando, nell’indagine sul crac da 500 milioni di euro della Casa di Cura
Divina Provvidenza di Bisceglie, altri due testi, hanno detto di averlo sentito
pronunciare con una suora una frase destinata a entrare nella storia del
malaffare politico italiano: “Da oggi in poi qui comando io, sennò vi piscio in bocca”.
Come molti ricorderanno, la religiosa, arrestata
assieme ad altre 10 persone, davanti al gip si è avvalsa della facoltà di non
rispondere. Poi ha inviato un memoriale in cui nega di averlo sentito
pronunciare la minaccia.
Non sta a noi (né al Parlamento) stabilire chi
abbia ragione. Lo faranno i giudici. Sappiamo però che i testimoni hanno
l’obbligo di dire la verità. Gli indagati no.
Sappiamo anche che con il voto pro Azzollini il
Senato ha pisciato in bocca ai cittadini. A tutti quegli italiani che a bocca
aperta speravano nella rottamazione di Matteo Renzi e che ora devono constatare
come il suo Pd stia invece rottamando il proprio elettorato e quel
poco di buono che ancora rimaneva della sua storia.
La truffa politica è evidente. L’11 giugno il presidente del partito, Matteo Orfini,
dichiara: “Credo che di fronte a una richiesta del genere si debbano valutare
le carte, ma mi pare che sia inevitabile votare a favore dell’arresto”. Mancano
tre giorni ai ballottaggi delle comunali, apparire morbidi non conviene.
La giunta per le immunità dà così il via a una lunga istruttoria.
Legge le carte, convoca Azzollini, e il Pd vota per le manette. Si arriva al Senato
dove i documenti processuali non li ha visti quasi nessuno. Il capogruppo
Zanda, però manda una lettera ai propri senatori con cui lascia a tutti la
libertà di coscienza.
I vertici del partito non dicono una parola. Sanno che il voto è
segreto. Che il risultato è scontato. Ma stanno zitti. Poi, a salvataggio
compiuto, interviene il vice-segretario Dem, Debora Serracchiani, che
dice: “Sono arrabbiata. Credo che abbiamo commesso un errore. Se fossi stato
senatore avrei votato sì”.
Dalla pisciata in bocca, si passa a quella in
testa. Se non fosse luglio ci direbbero che piove.
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